TRACKLIST:
1 Gli acrobati
2 La banda
3 Menica, menica
4 I'm Thirsty for Kisses (John Frederick Coots, Lou Davis)
5 When I Met Connie in the Cornfield (Robert Hargreaves, Harry Tilsey, Stanley J. Damerell)
6 I cargo
7 Il poeta
8 Vecchio paese
9 La fretta
10 Il casermone
11 Garibaldi (Bruno Lauzi, Eddie Cooley, John Davenport)
Permetteteci di dare per scontato, a grandi linee, chi è stato Bruno Lauzi, e quanto fosse grande. Eventualmente, la pagina di wikipedia e il suo sito personale stanno lì alla bisogna. La vicenda discografica di Bruno Lauzi, oggi, è davvero paradossale. Se, da una parte, sempre più gli si riconosce il ruolo, condiviso con pochissimi colleghi (diciamo Endrigo, De Andrè, Tenco), di capostipite della canzone d’autore italiana, dall’altro la sua discografia risulta largamente inesplorata, in quanto mai pubblicata organicamente in CD. Ciò è particolarmente doloroso per gli album della prima parte della carriera, quelli in cui veramente il piccolo grande genovese traccia un canone che poi in molti seguiranno. Rispetto ai nomi sopra citati, Lauzi si contraddistingue fin dall’inizio per le molteplici rifrazioni che il suo caleidoscopio artistico lascia filtrare: c’è la chanson francese, è vero (ma più Brel e Aznavour che Brassens), c’è l’ironia sferzante forgiata a Milano negli anni del Cab 64 e del Derby, ci sarà poi la passione infinita per la musica brasiliana (e questo lo avvicina a Sergio Endrigo, uno dei pochi colleghi di cui, nonostante le notevoli divergenze politiche, avrà una grandissima stima), il jazz (amore che condivideva con l’amico Tenco), l’avvicinamento al pop di qualità della coppia Battisti-Mogol (che esalterà il suo timbro vocale davvero unico), la scoperta di un riservato avvocato di Asti, e tanto altro ancora. Con tutto ciò Lauzi ha avuto un successo sicuramente minore rispetto a quanto seminato. Le ragioni sono varie: un repertorio non sempre all’altezza, specialmente nella fase dagli anni ’80 in poi, la sua fiera posizione politica liberale, invisa alla scena musicale generalmente, in quegli anni, orientata a sinistra, un carattere schietto che non le mandava certo a dire. La sua autobiografia “Tanto domani mi sveglio” (Gammarò, 2006) riporta giudizi talvolta affilati su alcuni colleghi (l’amico/rivale Gino Paoli accusato di avergli rovinato “Il poeta”, Paolo Conte che dopo il successo europeo l’avrebbe snobbato ed evitato). O forse, per dirla proprio con lo stesso Paolo Conte, “nessuno prende sul serio una persona che non si prende sul serio per prima”.
Insomma, tutto questo bendidio, seminato in singoli ed album che vanno dal 1962 a tutti gli anni 70, è appunto interamente fuori catalogo (bene ha fatto a denunciarlo l’amico Vito Vita dalle colonne di “Vinile”), sicché all’appassionato o al semplice curioso non resta che affidarsi a raccolte spesso raffazzonate, o a quello che il Tubo propone o propina. E’ per questo che abbiamo pensato di colmare questa lacuna attraverso una serie di post dedicati a questi primi introvabili (o quasi) lavori che hanno lastricato, a volte con successo, a volte meno, la storia della canzone italiana.
Cominciamo ovviamente con l’esordio sulla lunga distanza, in un’epoca in cui ancora gli LP erano rara avis e più che altro si configuravano come raccolta di successi. E’ il 1965 e il giovane Bruno Lauzi ha già dalla sua parte un 45 giri inciso con il curioso pseudonimo di Miguel e i Caravana (sul lato A il famoso pastiche brasiliano-genovese di “O frigideiro”) un EP (con “Il poeta”, definita dallo stesso Lauzi come “la mia prima e più bella canzone”) e altri 9 singoli (5 dei quali editi proprio nello stesso anno), tra cui l’evergreen “Ritornerai” (scritta in un quarto d’ora). Inoltre ha esordito a Sanremo con un valzer musette (in piena epoca beat!) e ha già partecipato a sette delle dieci puntate televisive di “Canzoniere minimo”. Insomma, i tempi sono maturi. “Lauzi al cabaret”, edito dalla CGD e arrangiato da Franco Tadini, dà appunto conto dell’anima di grande intrattenitore dell’autore genovese, del suo saper tenere un palco con una chitarra, uno sgabello e poco più, anche se la presenza, in diversi pezzi, di orchestrazioni che ci portano un po’ distanti dal classico cabaret, dà l’idea di un disco posticcio, un po’ all’impronta. Non a caso Lauzi non ne farà pressoché menzione nella succitata autobiografia. In tal senso ben più focalizzati saranno i successivi “Kabaret n.2” (1969) il secondo disco live di “Amore caro, amore bello”(’71) e “Il teatro di Bruno Lauzi” (1972). Tutti titoli che proporremo nelle prossime settimane, nella speranza che la cosa sia gradita ai lettori della Stratosfera.
L’album comincia con un autentico capolavoro, seppur misconosciuto: “Gli acrobati” è una canzone di incredibile modernità, sia per temi che per linguaggio testuale e musicale. Impressionante ascoltarla oggi. Seguono poi i brani presenti in quell’EP che testè citavamo: “La banda”, (da non confondersi con quella di Mina/Chico Buarque de Hollanda), l’amaro bozzetto di provincia leopardiano di “Menica menica”, quello analogo di “Vecchio paese” e la nota “Il poeta”. A completare la tracklist altri brani autografi più pensosi (“I cargo” brano sul dramma dell’emigrazione, “La fretta”, e la murder song“Il casermone”) e le riletture sbracate e divertenti di alcuni standard americani, uno dei quali diviene una surreale e dissacratoria “Garibaldi” (rinominata nel singolo del '68 “Garibaldi blues”). Da sottolineare infine la bella copertina apribile opera di G.Buonfino, con le note dello scrittore-amico Piero Chiara.
Altre succolenti informazioni su questo album sono reperibili al sempre prezioso sito Il negozio di Euterpe del suddetto magnanimo Vito Vita.
NOTA PER L’ASCOLTO- L’abum è rippato da vinile, con annessi e connessi in termini di qualità (considerate che i primi album hanno più di cinquant’anni sul groppone). I due lati sono stati riversati su altrettanti files.
Post by Altrocanto (Andrea) stratospherised by Capt